martedì 14 dicembre 2010

Giorno Azzurro



Lei, la piccola capanna costruita dai pastori, è la prima tappa di oggi e ci sono arrivata dopo una salita di due ore, giusto in tempo per vederla illuminarsi di neve con il primo sole ancora freddo. Felice di rivederla; così diversa con i colori del gelo, la scorgo fra gli alberi. Mi sento a casa e lei mi accoglie come se mi riconoscesse e mi aspettasse da quell'ultima volta. E mi ha riconosciuta, lo sento, come se io ogni sera tornassi da lei per godermi il silenzio assoluto della nostra montagna. Lei, così piccola eppure così solida e tenace, qui in quota e in condizioni proibitive resiste da molti più anni di quanti cerchi di resistere io ovunque vada. E' rassicurante ritrovarla così e ogni volta sempre lei, con la sua aria che sa di gente antica che l'ha vissuta prima di me e di fumo di tanti fuochi accesi e di resine crepitanti, di legno secco, di briciole di pane lasciato cadere fra le sue assi e divorato dalle arvicole, di scarponi pesanti e di lana bagnata e stesa ad asciugare.
Lei che sa più di tutto di luce e di freddo ora, e di licheni ghiacciati.
Poco più a monte della piccola capanna, il sole sta facendo capolino alla sommità dell'ampia radura e dopo una camminata nel folto di un bosco immobile e gelido, il primo raggio di sole mi accoglie timido e dolce. Immobile lo guardo; il freddo arriva ai miei piedi filtrando dagli scarponi immersi nella neve e poi sale lungo le gambe e si insinua fra i vestiti pesanti. Non voglio sentire il freddo e non mi muovo; osservo gli attimi che si susseguono e lo vedo nascere; il cuore mi pulsa forte, un po' per la salita appena fatta e un po' per l'emozione di essere arrivata in tempo. E' come se ci fossimo dati appuntamento lì in quella radura io e il sole, e sembra che mi avesse aspettato fino a questo momento per farsi vedere e per rendere l'aria meno cruda, per riscaldarmi un po' questa pelle bruciata dal freddo al mio arrivo, per prepararmi ai colori che si solleveranno con lui fra poco.
Ed eccola la luce fredda e tanto attesa: si alza a riempire l'aria ed i vecchi sorbi, tenaci, piegati in posizioni innaturali dal peso di tante nevi passate, continuano il loro sonno scaldandosi la pelle scagliosa e grigia sotto a ciuffi di licheni rassegnati, come le barbe di un vecchio millenario che attende altro tempo. La neve sui loro arti, durante la notte si è fusa in ghiaccio e si avvinghia ai rami ritorti, feriti, piegati e pazienti; si lascia sciogliere un poco sotto la luce, ma non cade, come se ne stesse chiamando dell'altra, rivolgendosi a un cielo che però oggi è decisamente avaro.
Mi siedo sullo scalino davanti all'uscio della piccola capanna per riscaldarmi un po' al sole.
Alzo lo sguardo da sotto l'ala del tetto e lo vedo. Svetta immobile; non un filo di vento, sembra il condottiero indiscusso di un esercito di abeti. Guardo i suoi rami che si scompongono in alto, come fossero l'estremità ribelle che sugge il sole per elevarsi ancora. Lo guardo mentre lui è rivolto fiero al suo regno, alla sua terra fatta di roccia e la scruta dal punto più favorevole. E' uno dei larici più alti che io abbia mai visto ed è bello e potente e lassù guarda gli abeti, fitti, chiusi, troppo verdi e troppo cupi; loro laggiù in basso, sono troppo distanti perchè con lui possano intendersi. E' luminoso e libero, ed è leggero, cresciuto tanto perchè gli piace andare dove la terra è lontana per poter guardare oltre. Lui, il re, è il primo che arriva sui suoli più difficili e non li teme ed è il primo che raggiunge il sole, che cresce con foglie di luce, verdi e tenere in estate, dorate e calde in autunno; e non soffoca, non opprime e mantiene solido l'ancoraggio; per svettare ancora più in alto, per vivere di più, per salutare e sfidare il cielo e le tempeste e il fuoco dei lampi e la pioggia. Perchè lui è il re!

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