venerdì 15 aprile 2011

ACQUA

Scendi fino alla fontana, quella scavata nella roccia, dove l'acqua viene raccolta da un enorme catino ovale e fermata da un vecchio e grosso tronco caduto dall'alto, sfaldato, ma ancora tanto solido da contenere e imbibirsi pesantemente. L'acqua scorre lungo la parete e si lascia scivolare sui muschi gelatinosi formando una specie di protuberanza mucillaginosa di un verde cupo contornato da margini fluorescenti gialli. Piccole alghe l'una fusa all'altra, si lasciano cadere e frange fradice piangono riversandosi sull'orlo del legno e poi, con un piccolo tuffo morbido, accompagnano l'acqua, lasciandola scorrere con un rumore ritmico, gocciolante e gentile, repentino e quasi allegro. Ascolti. Scendi e ti fermi con le punte dei piedi in bilico su uno scalino di pietra un po' sbeccato, arrotondato da innumerevoli gocce che prima di te hanno percorso, scorrendo, la medesima strada.

Ti fermi, ascolti. Il cielo filtra appena con il suo blu vivo e brillante attraverso i rami e le alte pareti di roccia che ti sovrastano. La luce del sole raggiunge con difficoltà gli scalini di roccia naturale, mentre quelli posti più in basso nemmeno riesci a scorgerli, e sul fondo le ombre diventano oscure, solide.
Osservi, annusi. Senti l'odore della terra, le folate di aria fredda che salgono dai fori oscuri, dalle crepe che si spingono nei meandri profondi, sconosciuti, inarrivabili e che portano l'aria gelida dalle viscere della terra attraverso le nere fessure che disegnano strani motivi sulle roccie rossastre e grigie; il gelo arriva lieve fino alla superficie della tua pelle e hai freddo.
Rimani immobile e ascolti. Il vento si muove silenzioso in alto, sembra senza toccare nulla e lo avverti appena nel movimento lontano delle foglie dei saliconi agrappati alle ripide pareti.
Hai freddo e ti muovi un po', girandoti e guardando verso il basso, dove la forra si stringe in un lungo serpente grigio verde, giù, nel profondo, fino a diventare poi un sinistro nastro nero, un rettile sinuoso che sembra si muova mosso da un'onda che sale dal profondo.
Lasci che gli occhi si fissino sul nero, sul nulla per poi sollevare la testa verso il cielo e con gli occhi socchiusi non vedervi che chiazze bianche per qualche lungo secondo.
Li chiudi. Avverti il profumo della terra bagnata e dei sali che si concretano lungo le pareti, ne segui le forme bizzarre, illogiche e libere con la punta delle dita, e con i polpastrelli ne accarezzi i colori fluorescenti e sfiori i licheni gialli, ruggine, verdi, duri, ruvidi; li osservi da vicino: minuscole trombe protese verso l'aria, aggregazioni primitive di materia minerale e di linfa vegetale, briciole di terra viva.
Scendi ancora e finalmente senti il mormorare potente del torrente sul fondo e più procedi nella discesa lenta e più il rumore assordante dell'acqua ti riempie i sensi e il cuore; e le tempie cominciano a battere più forte, come se l'impeto del rimbombo assordante aumentasse il flusso sanguigno e le tue cellule si muovessero per diventare suono, materia liquida, movimento repentino, frenetico.
Ascolti l'acqua spumosa, i balzi spaventosi che l'impeto della corrente lancia nel vuoto scontrandosi con violenza inaudita contro gli enormi massi levigati, lisci, neri. Ti lasci raggiungere dagli spruzzi gelidi, dall'aria umida e fredda; rimani immobile finchè il rumore assordante non ti stordisce e non ti obbliga ad indietreggiare un po'. Guardi indietro, verso l'alto e vedi il mondo dal profondo, vedi un po' di luce lassù ed è lontana, le ombre sono acqua ora, l'acqua è oscurità e tu sei lì, immersa in questo eccesso potente, e ti senti nulla, sai di essere nulla, di non essere più e ti senti libera, libera come l'acqua schiumosa.
Un onda potrebbe travolgerti e annullarti o farti rivivere. Il buio potrebbe inghiottirti, portarti via o portarti in un posto nuovo. Lo scrosciare dell'acqua si fa sempre più pesante, la confusione inconcepibile, insopportabile, tanto che non senti più nemmeno il rumore assordante, ma senti solo il tuo corpo scosso dal rimbombo, tanto che quell'infrangersi, quel saltare in evoluzioni paraboliche e dirette, quel muoversi fino all'eccesso della miriade di particelle liquide, diventa silenzio.Un silenzio profondo, viscerale, come quel posto.
Tanto che sai di essere lì e nel contempo ti sembra di non essere da nessuna parte, di non essere più. E in quel preciso istante di consapevolezza  il cuore riprende il suo battito più calmo; la tua mente segue con gli occhi, con la pelle fradicia, con l'odore di meandri, il ritmo frenetico dello scorrere e ne assimila la naturalità del movimento; la frenesia diventa norma e la tua mente si calma.
Adesso sai che potresti rimanere lì per sempre e che lì staresti come non mai, staresti bene. Sai che una parte di te è parte di quel luogo, sei quel luogo. Ma la luce in alto ti richiama alla luce e ti giri, lenta, e riprendi a salire, piano, e la sensazione di appartenere alla materia liquida ti segue, ti solleva, ti accompagna. Arrivi alla luce e ti asciughi sull'erba calda al sole, lentamente, beandoti per aver potuto scegliere per un breve attimo infinito di essere acqua o aria, o terra, o tutto... o niente... annullandoti nel tutto. Ed è la pace sotto il sole tiepido che riporta il tuo battito allo scorrere di sempre.  

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